Corpus Domini 2022, nel 5° anniversario di Ordinazione di don Dario
Una cospicua partecipazione di fedeli si è messa in cammino per le vie del nostro paese, accompagnando con il canto e la preghiera il passaggio del Santissimo Sacramento. Giovedì 16 giugno, dopo due anni di assenza forzata a causa della pandemia, la nostra comunità è tornata a celebrare la processione del Corpus Domini, che rivela uno dei misteri più profondi della fede cristiana: Gesù presente in quel Pane spezzato e consacrato per noi. Non è un caso che la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo affondi le sue radici proprio nell’avvertimento di una lacuna, nel riconoscimento di un’assenza. Nel 1208 suor Giuliana di Cornillon, oggi venerata come Santa, al tempo priora di un monastero presso Liegi, in Belgio, vide durante un’estasi un disco lunare risplendente di luce candida, privo però di una zona rimasta in ombra. La tradizione vuole che Santa Giuliana abbia interpretato quella visione come il ritratto della Chiesa del suo tempo, ancora mancante di una festa in onore dell’Eucarestia che fosse slegata dal clima di lutto e mestizia del Giovedì Santo. Nel 1246, il vescovo di Liegi accolse la richiesta di Santa Giuliana e istituì per la sua diocesi, com’era lecito all’epoca, la solennità del Corpus Domini. L’estensione di tale festa a tutta la cristianità si deve a papa Urbano IV, che proprio a Liegi aveva esercitato il suo ministero prima di salire al soglio petrino, attraverso la bolla Transiturus dell’11 agosto 1264. La data della celebrazione fu fissata al giovedì seguente la solennità della Santissima Trinità, esattamente sessanta giorni dopo la Pasqua, ma in diverse parrocchie viene traslata alla domenica successiva. A muovere papa Urbano IV fu soprattutto il riconoscimento del cosiddetto Miracolo eucaristico di Bolsena: nell’estate del 1263 un sacerdote boemo di nome Pietro da Praga, dubitando della reale presenza di Gesù nel Pane e nel Vino, si recò in pellegrinaggio a Roma. Durante il viaggio di ritorno, nuovamente assalito dai dubbi di fede, si fermò presso Bolsena per celebrare la S. Messa sulla tomba di Santa Cristina: al momento della consacrazione, l’Ostia cominciò a sanguinare sotto i suoi occhi increduli, macchiando il corporale e alcune pietre. Allora Pietro da Praga si recò immediatamente nella vicina Orvieto, dove si trovava Urbano IV, che accolse con gioia e stupore il visibile segno della presenza di Cristo.
La processione comunitaria è stata preceduta dalla celebrazione della S. Messa alle ore 20.30. A presiedere il rito il nostro don Dario, nel 5° anniversario della sua Ordinazione Presbiterale, avvenuta il 27 maggio 2017 per l’imposizione delle mani del vescovo Francesco. Per festeggiare questo traguardo così significativo, accanto a lui si sono stretti i confratelli don Giuseppe e don Davide, che hanno concelebrato l’Eucarestia, e la comunità tutta, profondamente riconoscente ad uno dei pastori che il Signore le ha inviato. I bambini del terzo anno, che poche domeniche prima avevano ricevuto Gesù per la prima volta durante la festa di Prima Comunione, sono stati invitati in modo speciale alla celebrazione, in compagnia dei loro catechisti e delle loro famiglie. Il bianco candido delle loro piccole vesti tingeva i primi banchi dell’assemblea, specchiandosi nel bianco dei paramenti liturgici e dei fiori che ornavano il presbiterio. In particolare, don Dario ha scelto di indossare la stessa casula bianca utilizzata in occasione della sua prima S. Messa, per testimoniare la continuità dei suoi primi cinque anni di ministero e la coesione con la sua vocazione al sacerdozio.
La liturgia ha proposto il racconto della Moltiplicazione dei pani e dei pesci secondo Luca:
“Date loro voi stessi da mangiare”. Gesù non è colui che dona il pane è Lui stesso: in quella notte gli apostoli sono chiamati ad essere loro stessi cibo per la folla, a preoccuparsi in prima persona della fame degli altri
don Dario ha tracciato la sua omelia proprio a partire da quel brano evangelico. A Betsaida il giorno comincia a declinare, e la folla avverte i primi stimoli della fame: la nostra vita inizia con la fame, avere fame significa sentirsi vivi. Gli apostoli, ormai stanchi e desiderosi di riposare, chiedono a Gesù di sciogliere la folla, poiché in una zona desertica è impossibile trovare alcunché da mangiare. Ma il Maestro dà una risposta formidabile, che interroga i dodici nel profondo e li costringe a mettersi in discussione: “Date loro voi stessi da mangiare”. Gesù non è Colui che dona il Pane, ma quel Pane è Lui stesso: in quella notte gli apostoli sono chiamati ad essere loro stessi cibo per la folla, a preoccuparsi in prima persona della fame degli altri. Certo, occorre superare le resistenze umane e le fatiche che la vita ci pone dinnanzi: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci”, è la cruda constatazione dei discepoli. Occorre anche sconfiggere l’illusione di potersela cavare da soli, la vana supposizione di poter risolvere tutti i nostri problemi: “A meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”, azzardano i dodici. Gesù ribatte con una saggezza indicibile: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa”. L’arte dell’attesa sconfigge la logica del tutto e subito, distrugge l’affanno di una società dominata dalla frenesia e dalla fretta: il Signore ci invita ad abitare le fatiche, a prendere posto tra le croci quotidiane. Allora Gesù prende i pani e i pesci, li benedice e li spezza, poi li dà ai discepoli perché li distribuiscano alla folla, quindi “Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste”. Il vero miracolo non è fatto per soddisfare i bisogni carnali o per riempire delle pance affamate, ma vi è molto di più: ci apre all’infinito per condurci a Dio. Siamo chiamati a fuggire dall’essere troppo pieni di impegni, troppo pieni di orgoglio, troppo pieni di noi, ma a lasciarci abitare dal vuoto, anzi a lasciarci abitare da Dio, che proprio in quel vuoto che è dentro di noi pone la Sua dimora. Il Vangelo, più che narrare la concreta divisione degli alimenti, sceglie di raccontarci la moltiplicazione della cura verso il prossimo: nessuno trattiene i pani e i pesci per sé, ma li passa di mano in mano, testimoniando la disponibilità a farsi carico della fame altrui. Solo chi parte dalle proprie povertà, chi si riconosce impotente, chi si rende conto di avere solamente cinque pani e due pesci, può arrivare a donare sé stesso: non vi è amore senza sofferenza, non vi è amore senza consegna di sé.
Non è un caso che il movimento tipico di ogni azione caritativa richieda una vita in perdita, un lasciar andare senza trattenere: questa è la vera libertà.
Al termine della S. Messa, la processione è uscita dal portone della nostra chiesa, per poi snodarsi attraverso le vie del centro storico. Dietro la croce procedevano i fedeli tutti, disposti su due file, seguiti dai bambini della Prima Comunione, che tenevano in mano delle piccole candele bianche. Di tanto in tanto, aiutati dai loro catechisti, gettavano sull’asfalto dei petali di fiore profumati, simbolo di vita rigogliosa, per colorare il passaggio di Gesù Eucarestia. L’aroma dell’incenso e la luce delle torce sorrette dai chierichetti aprivano la strada al transito del prezioso baldacchino, sospinto da diversi papà in camicia bianca, che con generosità hanno garantito la loro disponibilità per questo fondamentale servizio. Ai quattro angoli della struttura, altri papà sostenevano quattro grandi lampade, segno della presenza viva del Signore nell’Ostia consacrata. A don Dario, avvolto nel piviale e nel velo omerale dorati, che testimoniano la sacralità del momento, il compito di sorreggere l’ostensorio che custodiva il Santissimo Sacramento, cuore pulsante della processione. I canti e le preghiere, guidati da don Giuseppe con l’aiuto del gruppo liturgico, hanno ripercorso tutti i versetti del Vangelo di Luca proclamato durante la celebrazione, animando la folta partecipazione.
Una volta che la processione ha fatto ritorno in chiesa parrocchiale, l’ostensorio è stato posto al centro della mensa. L’assemblea tutta si è messa in ginocchio, poiché l’Eucarestia è quanto di più prezioso si possa contemplare. Dopo il canto dell’inno del Tantum Ergo, composto da San Tommaso d’Aquino proprio su incarico di papa Urbano IV, don Dario ha impartito la benedizione eucaristica nel silenzio più totale, scandito solamente dal suono della campanella. La preghiera continua del Dio sia benedetto ha preceduto il momento della reposizione, durante il quale il Santissimo Sacramento ha fatto ritorno nel tabernacolo. Ma prima di congedare l’assemblea, don Dario è stato trattenuto in presbiterio per ricevere il dono che la comunità ha deciso di offrirgli in occasione di questo traguardo così significativo: un quadro ad acquerello dell’artista bergamasco don Carlo Tarantini, raffigurante il volto di Cristo. Questa tela vanta una duplice relazione con don Dario: l’artista, che oggi risiede a Scanzorosciate, è molto legato al nostro sacerdote; e il soggetto dell’opera, un volto appunto, si inserisce perfettamente nel percorso pastorale della nostra parrocchia per il 2021-2022, intitolato Faccia a faccia…con il volto. Proprio la celebrazione del Corpus Domini ha segnato la conclusione dell’anno pastorale, aprendo le porte alle iniziative dell’estate, sotto la protezione di quel Pane che nutre quotidianamente la nostra vita.
Andrea Fadigati