Ordinazione diaconale e prime celebrazioni di don Paolo Capelletti
Durante il Concilio Vaticano II, ogni mattina, all’inizio della sessione, il Vangelo veniva solennemente intronizzato, per inquadrare i lavori nell’ottica della Parola di Dio. Un giorno, S. Paolo VI espresse il desiderio di occuparsi lui stesso, almeno per una volta, di questo prezioso gesto, ma gli risposero che si trattava di un compito riservato ai diaconi. Allora il papa replicò: “Però in fondo anche io sono un diacono.”
Questo semplice ma efficace aneddoto, proposto dal nostro vescovo Francesco durante la sua omelia per la S. Messa delle Ordinazioni Diaconali, ci ricorda come il diaconato non sia un riconoscimento di carriera, o un aumento di grado da aggiungere al curriculum, bensì un ministero ordinato, fondamentale nella vita della Chiesa, frutto dell’incontro decisivo con Colui che chiede di lasciare tutto per seguirLo. Certamente l’Ordinazione Diaconale è un passaggio necessario in vista dell’Ordinazione Sacerdotale, anzi il diaconato costituisce l’ultimo tratto di strada da percorrere prima di ricevere il presbiterato, ma Paolo Capelletti, un giovane della nostra comunità a cui, da alcune settimane, riserviamo l’appellativo di don, rimarrà diacono per sempre. Ecco perché moltissimi sono stati i colognesi presenti alla celebrazione di sabato 29 ottobre, presso la chiesa ipogea di Cristo Sommo ed Eterno Pastore del seminario di Bergamo: oltre ai parenti e agli amici invitati personalmente dal novello diacono, un pullman intero di fedeli dalla nostra parrocchia si è stretto intorno a don Paolo, a dimostrazione di come eventi di questo genere non siano un fatto privato, ma un affare di comunità. Circa una cinquantina di nostri adolescenti, presenti in seminario in compagnia dei loro catechisti per vivere due giorni di ritiro spirituale (vedi articolo a pag. 26), hanno contribuito a rendere la partecipazione colognese, guidata dai nostri sacerdoti, forse la più folta in assoluto.
Oltre a don Paolo, altri otto giovani, all’ultimo anno di studi in teologia, provenienti da otto diverse parrocchie della nostra diocesi: un enorme dono per la Chiesa che è in Bergamo. Come motto per la loro Ordinazione Diaconale, essi hanno scelto una frase tratta dall’Apocalisse (21, 5): “Ecco, io faccio nuove tutte le cose.”, poiché è il Signore che plasma la vita di ciascuno, è Lui che, per la Sua grazia, dispone il diaconato di questi seminaristi. All’inizio della celebrazione, gli ordinandi si sono disposti ai piedi dell’altare, ciascuno dinnanzi ai propri genitori. Al termine della proclamazione del Vangelo, il rettore del seminario, don Gustavo Bergamelli, ha chiamato per nome “coloro che devono essere ordinati diaconi.” “Eccomi!” è stata la risposta di ciascun candidato che, allontanandosi simbolicamente dai propri genitori e quindi dalla propria comunità di origine, è salito al presbiterio per presentarsi al vescovo, correndo incontro alla Chiesa come ad una sposa. Quello stesso “Eccomi!” pronunciato da don Paolo il giorno della Cresima, e rinnovato al conferimento di ogni ministero (ammissione agli Ordini Sacri, lettorato, accolitato, diaconato), sarà ripetuto per l’ultima volta sabato 27 maggio, in occasione della sua Ordinazione Sacerdotale.
Il vescovo ha mosso la sua riflessione a partire dal Vangelo della XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Luca 19, 1-10), che ci ha presentato l’episodio di Zaccheo il quale, per via della sua statura ridotta, si arrampica in cima ad un sicomoro per assistere al passaggio di Gesù. “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua.”: l’evangelista ci propone la straordinaria conversione di un peccatore che, rispondendo alla chiamata del Maestro, Gli spalanca le porte della sua abitazione. Quante volte, come il capo dei pubblicani, che fondava la propria vita sulla ricchezza e sul vanto, ci capita di essere arrampicati su un albero: Gesù chiama per nome Zaccheo, chiama per nome ciascuno dei nove ordinandi, chiama per nome tutti noi. L’incontro con Gesù cambia la vita, ed è un cambiamento che ha a che fare con il cuore: è l’amore di Dio che diventa amore per il prossimo. Questi novelli diaconi, la cui vita è stata stravolta dall’amore di Dio, sono chiamati a fare dell’amore verso il prossimo la propria prerogativa, poiché il diakonos è proprio colui che si fa servitore: diaconato non solo come servizio sociale, ma soprattutto come servizio spirituale, poiché nei poveri vi è Cristo stesso. Il vescovo ha poi concluso con un augurio, ripetendo le parole dell’Epistola: “Fratelli, preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede.” (2 Tessalonicesi 1, 11).
Al termine dell’omelia, ha avuto inizio la liturgia di Ordinazione. Mons. Beschi si è rivolto ai candidati per interrogarli circa i loro impegni come diaconi: aiuto verso i sacerdoti e tutto il popolo cristiano, annuncio del Vangelo con la parola e con le opere, celibato e totale dedizione al Signore, preghiera fedele nella liturgia delle ore e partecipazione all’Eucarestia. Dopo le sei risposte corali del “Sì, lo voglio!”, ciascun ordinando ha posto le sue mani in quelle del vescovo, promettendo “filiale rispetto e obbedienza.” In seguito, don Paolo e i suoi compagni si sono prostrati a terra per alcuni minuti di intensa preghiera, accompagnata dal canto delle litanie dei Santi. Poi, il momento centrale dell’Ordinazione: ciascun candidato si è inginocchiato di fronte al vescovo che, nel silenzio, ripetendo un gesto presente fin dagli albori della Chiesa e ancora oggi previsto nella liturgia di ogni Sacramento, ha imposto le mani sul capo di ogni eletto. Dopo la lunga preghiera consacratoria, la liturgia ha proposto i tre riti esplicativi. Innanzitutto, la vestizione degli abiti diaconali, che ciascun ordinato ha compiuto con l’aiuto dei propri genitori; al momento dell’ordinazione presbiterale, saranno invece i confratelli preti ad aiutare il novello sacerdote nella vestizione. Poi, la consegna del libro dei Vangeli, che ha confermato l’impegno nella testimonianza della Parola; al neo-sacerdote verranno consegnati anche il pane e il vino. Infine, l’abbraccio di pace tra i nove diaconi e il vescovo Francesco, accompagnato da uno scrosciante applauso, che ha rivelato la gioia di una Chiesa in festa. Festa che è proseguita ancor più intensamente al termine della celebrazione: don Paolo ha salutato e ringraziato calorosamente tutti i presenti, prima di raggiungere il salone del seminario in cui era stato allestito per lui un ricco rinfresco, che ha condiviso in compagnia di adolescenti e giovani.
Il giorno seguente, il novello diacono è stato accolto nella nostra comunità in occasione di tre S. Messe del mattino, durante la quali si è occupato della predicazione. Sono molteplici i compiti del diacono durante la celebrazione: assiste il sacerdote nell’uso del turibolo e si occupa in prima persona di alcune incensazioni; trasporta l’evangeliario e, dopo aver ricevuto la benedizione del celebrante, proclama il Vangelo; prepara l’altare all’inizio della liturgia eucaristica e presenta al sacerdote il pane e il vino da consacrare; eleva il calice durante la dossologia (“Per Cristo, con Cristo, in Cristo…”); esorta allo scambio della pace (“Scambiatevi un segno di pace.”); distribuisce la Comunione, poi purifica il calice e sistema l’altare; infine congeda l’assemblea al termine della S. Messa (“Andate in pace.”).
In particolare, don Paolo ha avuto la sua prima apparizione ufficiale alla celebrazione delle 8.30, presieduta da don Giuseppe. Ancora una volta, il protagonista dell’omelia proposta è stato Zaccheo, che il nostro diacono ha presentato come immagine dell’uomo di oggi: impegnato nel lavoro, viene a sapere che qualcuno di importante sta per arrivare; allora, consapevole dei propri limiti, si arrangia come può per ottenere ciò che desidera. Gesù riporta il pubblicano alla sua umanità, alla sua creaturalità come essere finito e limitato: come recita un tradizionale proverbio bergamasco, lo esorta a venire giù dalla pianta. Poi, il Maestro visita il luogo più intimo della vita di Zaccheo, ovvero la sua casa: solamente nella misura in cui sappiamo accogliere il Signore nella nostra vita possiamo essere salvati. Come possiamo spalancare a Cristo le porte del nostro cuore? Praticando opere di misericordia, mettendo in pratica il comandamento dell’amore…certamente la conversione dell’animo richiede tempo, poiché seguire la via della croce non è affatto facile. Ma Gesù bussa quotidianamente all’ingresso della nostra casa: sta a ciascuno di noi scegliere se aprire o meno.
In occasione della S. Messa delle 9.45, a cui erano presenti i bambini dalla seconda alla quarta elementare, don Paolo ha unito alla semplice riflessione intorno alla figura di Zaccheo un approfondimento sugli abiti liturgici propri del diacono, che comunicano immediatamente i compiti specifici di questo ministero. Innanzitutto, la stola diaconale, a differenza di quella del sacerdote, non cade simmetricamente su entrambe le spalle, ma è indossata di traverso, in modo da non intralciare le gambe dell’ordinato: richiama la vocazione al servizio, invita a mettersi in ginocchio senza paura di inciampare. Ma l’abito diaconale per eccellenza è certamente la dalmatica, che si distingue dalla casula del presbitero per via delle sue maniche corte, aderenti alle braccia e poco ingombranti: il diacono ha le maniche rimboccate, poiché è sempre pronto a sporcarsi le mani, a mettere le mani in pasta, a toccare con mano le povertà. L’intensa mattinata di don Paolo si è conclusa con la solenne celebrazione delle 11.00, presieduta da don Davide, a cui erano presenti, oltre che i ragazzi dalla quinta elementare alla terza media, anche i nostri adolescenti, di ritorno dal seminario. Al termine di ciascuna delle tre S. Messe, la nostra comunità ha simbolicamente presentato al novello diacono il suo regalo per questa tappa di cammino così significativa: un’alba, ovvero il camice bianco che ogni ministro ordinato indossa per rivestirsi della purezza di Cristo.
In occasione delle celebrazioni più solenni, ai vescovi è concesso di portare la dalmatica al di sotto della casula o della pianeta, per testimoniare la pienezza del Sacramento dell’Ordine nei tre gradi di diaconato, presbiterato ed episcopato. Anche se questo doppio paramento non è consentito ai sacerdoti, il miglior augurio che possiamo fare a don Paolo è quello di non abbandonare mai la dalmatica: anche quando, tra qualche mese, indosserà la casula presbiterale, resterà diacono per sempre.
Andrea Fadigati