Il saluto di don Dario
Eccomi a scrivere questi pensieri che escono dalla parte più intima di me e che scorrono tra i pensieri del cuore in questo ultimo periodo di permanenza presso di voi.
Tutto per dirvi grazie così, dentro pensieri un po’confusi e sentimenti altalenanti tra la commozione e la nostalgia.
Grazie perché tutto profuma di condivisione. Non so quanto ho dato nel mio ministero qui a Cologno, ma ho la consapevolezza di come mi sono giocato. Ho vissuto il mio ministero nell’incontro, nella relazione, perché solo nell’incontro personale esce la verità di noi e proprio lì ho scoperto che di me usciva la parte più autentica.
Grazie per tutti gli incontri dove ho potuto fare esperienza di Lui attraverso di voi, della sua grazia e del suo amore.
Ringrazio il Signore per tutte le famiglie che ho incontrato, in ogni ambito, in ogni situazione, nei momenti informali, dentro i lutti, le gioie, le malattie, le angosce, le preoccupazioni.
Ringrazio anche tutti i preti e i religiosi/e che ho incontrato in questo tratto di strada.
Grazie alle Eucarestie celebrate, in chiesa, nelle cappelle, alla casa di riposo e al centro diurno.
Ho tentato di ascoltare il più possibile le vostre sofferenze e le vostre gioie. Essere cristiani significa confidare gli uni gli altri ciò che abbiamo dentro, di questo abbiamo enormemente bisogno: amare è dare la vita, e dire una parola buona, per dirla alla Fabi è “permettere a un altro di occupare il nostro spazio” (Niccolò Fabi).
Il vescovo per mezzo del vicario generale mi ha chiesto di andare in un’altra parrocchia, anzi in due parrocchie. Mi affido a questo nuovo progetto e a questa missione assegnata, riconsegnando la mia storia a colui che continua ad avere progetti di bene su ciascuno di noi.
Vado nelle comunità di Ponte San Pietro e del Villaggio Santa Maria, mi fido del progetto di Dio e mi affido alle Sue scelte. E in più, giusto per non annoiarsi, sarò coordinatore della cappellania del policlinico San Pietro e lì, insieme ad altre persone, potrò sperimentare un’altra nuova realtà.
Grazie a tutte quelle persone che ho conosciuto e sono già in cielo. Questo è stato uno dei passaggi più importanti del mio ministero: entrare nei lutti, in punta di piedi, disarmato, sapendo che non avevo parole da regalare, avevo solo abbracci e pochissimi segni, per essere vicino a queste persone; entrare in punta di piedi nei lutti familiari è stato totalmente disarmante.
Quando è morto mio padre, lì ho capito ma soprattutto ho sentito il dolore, la perdita, la ferita. La fede non è capire, ma sentire, franare dentro il vuoto, dentro l’assenza, e condividerla. Alla fine di tutto cosa rimane? Rimangono le relazioni e i rapporti personali.
Ringrazio per i tanti Battesimi celebrati, per gli incontri pre-battesimali con i genitori, con i padrini e le madrine, ringrazio per i tanti funerali celebrati, per i tanti incontri vissuti in momenti a volte difficili e tristi, ma sempre abbracciati dalla speranza.
Ringrazio tutte le persone che in questi sei anni mi hanno sostenuto, incoraggiato, custodito, rimandato una parola bella che ha donato stupore. Ringrazio anche chi non mi ha compreso, perché ha potuto permettere alla mia libertà di sbocciare e di crescere. Quella libertà evangelica di dire e di accettare, con fatica, che è arrivato il tempo di fare le valigie, è venuto il tempo di andare oltre.
Dio mi incoraggia a sapermi conformare a un progetto più grande di me. Noi chiediamo cose a Dio e lui ci dona non quello che spesso gli chiediamo ma quello di cui abbiamo bisogno.
Sono arrivato a Cologno con quella ambizione clericale di presumere di essere io con le mie forze, con le mie energie, con i miei titoli, a tenere sotto controllo, a mettere a posto le cose. Che ingenua presunzione… Vado via con la consapevolezza che non è il fare, o peggio il mostrare di aver fatto qualcosa che ci salva la vita. Semmai la certezza che Dio ci ama proprio così come siamo. Inizialmente preoccupato di mostrare professionalità, competenze e solide impalcature finalmente ho scoperto le mie ferite, le mie fragilità, ed è proprio lì dentro che ho riconosciuto il Suo amore. Perché Dio ci salva in quanto perduti. Dio ci salva perché ci siamo persi nel suo amore. Che poi il Vangelo è vivere da folli e innamorati, che sanno perdere la faccia per Lui.
Ho sperimentato quella sinodalità, una parola che suona un po’ inflazionata, ma che tuttavia rispecchia la modalità con la quale ho tentato di inserirmi qui con voi, cioè il fare strada insieme, il camminare in mezzo a voi, il camminare con voi. Sto pensando al tempo dedicato agli incontri, nelle case, in segreteria, per le vie del paese; ecco voi siete stati la mia casa. E finalmente ho sperimentato che cosa è realmente l’essenza della parrocchia e anche il suo significato, la sua etimologia: parrocchia, vicina alle case.
Chiedo scusa per tutte le persone che ho dimenticato di ringraziare. Chiedo scusa anche per quelle persone che ho involontariamente ferito e senza, magari, rendermene conto.
Discernere non è imitare nessuno ma chiedersi: “Cosa il Signore sta chiedendo a me, personalmente a me? Come lodare e servire il Signore al meglio delle mie potenzialità? Come posso dare veramente la mia vita per Lui?”.
L’immaginetta per la mia prima messa recitava così: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il Suo figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.” (1 Giovanni 4, 10); la sento ancora viva e vera. Dobbiamo fidarci solo di Lui, affidarci solo a Lui.
Ringrazio tutti i collaboratori della parrocchia e dell’oratorio per lo spirito di condivisione di questi anni. Sentitevi anche voi inviati, mandati, sentitevi anche voi un po’, come me, servi inutili. E abbiate il coraggio di obbedire alla volontà di Dio, coltivando e custodendo il giardino affidato, ma anche sapendolo lasciare, quando i frutti sono maturi, perché non siamo padroni di niente, tanto meno di nessuno.
Sono stati sei anni intensi e travagliati; penso immediatamente al covid, penso alla morte di tante persone e di tanti preti, don Adriano, don Luigi, don Emilio, don Rino, e penso anche alla perdita di mio papà Luigi, insomma anni belli ma anche di fatica e di crisi. Sono stati anche anni di discernimento.
Ho cercato di non avere un posto, ma di fare posto e ora mi si chiede di lasciare il posto. Evidentemente amare non è possedere ma inseguire continuamente una prospettiva, continuando a vivere il nostro ministero come tirocinanti.
Ringrazio lo Spirito che mi ha fatto comprendere che annunciare Cristo è rimanere in lui, spogliarsi di corazze, togliersi di dosso il potere e avere il coraggio di raccontare la propria autenticità. Seguire il Signore non è far quadrare tutto, non è unire tutti, non è illudere; non è comandare o spadroneggiare, ma andare in croce, insieme a Lui. E quando comprendi questo, è una grande liberazione e insieme una grande sofferenza. È essere consacrati nella verità.
Mi dispiace tantissimo dover andare via da Cologno, ma mi è stato chiesto. Obbedire non è solo dire sì al vescovo, ma ascoltare la voce di Dio e fidarsi di una parola che è sempre più grande di noi. La voce dello Spirito è dire di sì a Lui senza capire troppo il perché, senza entrare in troppi ragionamenti umani, perché le risposte spesso non ci sono. Occorre avere fiducia e andare lì dove siamo andati. Questa è la fede, senza aggrapparsi ad appigli, a rimorsi o a domande ma rimanendo legati solo a Lui.
Mi vengono spesso in mente le preziosissime parole di don Rino, quando nella mia ultima visita presso la casa di riposo di Scanzo, mi disse, come era il suo stile, in maniera concreta: “Dario, stai con il Signore e fai il prete!”, un testamento spirituale. Le sue parole, insieme a tante altre, soprattutto in questo ultimo anno, non le dimenticherò mai.
Grazie alla bella famiglia del cammino dei neocatecumenali; grazie di avermi accolto con voi in tanti momenti di preghiera e fraternità.
Grazie a tutto il personale della fondazione RSA Vaglietti Corsini, dalla casa di riposo al centro diurno integrato, per la cura costante e quotidiana che sanno offrire ai nostri anziani e malati e che hanno saputo testimoniarmi.
Grazie al gruppo diocesano del cammino de La Casa, che è stato per questi due anni un focolare domestico. Con loro ho potuto condividere mensilmente al santuario della Basella la preghiera, l’adorazione, e momenti di scambio fraterno, partendo dalla Parola di Dio.
Un grazie speciale ai compagni di viaggio dei nostri incontri di spiritualità e catechesi: è stato un cammino importante, condiviso, abbiamo sperimentato la conversazione spirituale, e momenti di preghiera profonda e autentica.
Ringrazio la grande famiglia dei Gesuiti per tutto il cammino di formazione che ho vissuto trasversalmente in questi anni. Il cammino di discernimento, l’accompagnamento spirituale, gli esercizi spirituali. Grazie a loro ho capito cosa significa davvero ascoltare e ascoltarsi. Perché, come diceva il loro maestro Sant’Ignazio, non è il molto sapere che sazia ma è gustare interiormente le cose di Dio.
Voglio continuare a sentirmi un prete lontano dalle logiche del palazzo e del potere. Vicinissimo ai pastori e ai magi, in cammino, discepolo innamorato di Lui. Continuamente e testardamente vivendo in una chiesa che cammina costantemente in uscita.
Per questo ringrazio alcune persone speciali che mi hanno accompagnato tantissimo in questo tragitto e mi accompagneranno sicuramente anche in questa nuova tappa.
Il Maestro invita anche a me: “Passiamo all’altra riva”. Mi affido. Sapendo che lascio, e lascio tantissimo. Lascio tante meravigliose persone e tanti affetti.
Quando viene narrato l’incontro dei discepoli di Emmaus, a un certo punto Gesù sparì dalla loro vista e non lo avevano più accanto a sé. Perché scompare? Perché, finalmente, l’avevano dentro di loro. Tenetemi, se vorrete dentro di voi, e io porterò in me ciascuno di voi.
Infinitamente grazie!
Don Dario